L'alba della farmacologia moderna

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Tre scienziati gettano le basi della farmacologia

Christopher Wren, James Lind ed Edward Jenner: grazie a loro il metodo scientifico muove i suoi primi passi sul terreno della medicina.

Dopo secoli di tentativi e sperimentazioni di erbe e prodotti naturali in genere, sempre accompagnate da un alone di leggende e superstizioni, il metodo scientifico applicato alla farmacologia comincia a muovere i suoi primi passi. Uno dei primi scienziati a intuire la possibilità di sperimentare sugli animali gli effetti delle sostanze, nonché di osservarli e registrarli, fu Christopher Wren. Nel 1656 inietta sostanze e liquidi vari per endovena in modelli animali, in particolare cani, registrando le reazioni e gli effetti.

Un ulteriore importante contributo allo sviluppo del metodo scientifico lo dà James Lind, chirurgo scozzese, che per primo realizza uno studio clinico controllato. Nel 1747, lavorando per la Marina britannica, nota che quasi tutti i marinai che tornavano da lunghi viaggi soffrivano di scorbuto. Decide allora di selezionare dodici marinai tutti sofferenti dei sintomi dello scorbuto e li divide in sei coppie. Ai sei gruppi aggiunge un’integrazione alla dieta: due marinai ricevono un quarto di sidro al giorno, due un non meglio specificato elisir tre volte al giorno, una coppia riceve acqua salata, una coppia una combinazione di aglio, senape e rafano, due uomini aceto e, infine, due uomini ricevono due arance e un limone al giorno. Dei sei gruppi, quattro non migliorarono, il gruppo che assumeva il sidro ebbe un lieve miglioramento, ma il gruppo che aveva assunto agrumi manifestò un miglioramento decisivo. James Lind aveva dimostrato la superiorità di questo trattamento rispetto agli altri rimedi fino ad allora adottati, e aveva scoperto le virtù della vitamina C, in mancanza della quale i marinai si ammalavano di scorbuto. Dopo la pubblicazione dei dati, ci vollero altri 40 anni prima che la Marina di sua Maestà britannica si decidesse a fornire succo di limone alle navi della sua flotta.

Il fenomeno del vaiolo. Nel 1788 Edward Jenner, medico della Contea di Gloucester in Gran Bretagna, inizia a studiare il fenomeno del vaiolo. Otto anni più tardi, compie un esperimento che, in futuro, si rivelerà di fondamentale importanza nella lotta al vaiolo e a tante altre malattie infettive. Estrae il siero dalle pustole sulle mani di una mungitrice che aveva contratto il vaiolo bovino, una forma più blanda della malattia, e lo inocula in un bambino di 8 anni attraverso due incisioni sul braccio. Poiché chi lavora con le mucche non contrae la malattia umana, Jenner suppone che la forma bovina, che colpisce solo le mani, fornisca una protezione contro l’infezione mortale. Sei settimane più tardi, Jenner inocula al bambino il virus del vaiolo umano, e scopre che la sua ipotesi è corretta: il bambino non contrae la malattia. Qualche mese più tardi Jenner ripete l’esperimento e ottiene lo stesso risultato. Alla fine del 1796 invia un articolo alla Royal Society a Londra, descrivendo 13 casi di soggetti immunizzati con il vaiolo bovino. Ma la Royal Society rifiuta di pubblicare l’articolo. Jenner decide quindi di pubblicarlo a sue spese. Lo studio di Jenner riceve molte critiche: alcuni medici si mostrano scettici, altri rifiutano il metodo per interessi economici.

Ma il metodo di Jenner si diffonde, e in breve tempo più di 100 mila persone vengono “vaccinate” in tutta Europa (il termine vaccinazione deriva proprio da “vacca”, l’animale che ha fornito i primi ceppi infettivi necessari a proteggere l’uomo). Nel 1805 Napoleone impone la vaccinazione antivaiolosa a tutte le sue truppe, e un anno dopo la vaccinazione viene estesa alla popolazione francese.

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