I potenziali farmaci testati per la prima volta sull’uomo: sotto la lente d’osservazione, gli effetti indesiderati e la farmacocinetica, cioè l’assorbimento e il metabolismo della sostanza.
La fase 1 consiste nello studio preliminare della sicurezza e della modalità d’azione della nuova molecola. Per la prima volta il farmaco viene somministrato a un essere umano. Scopo principale non è verificare l’efficacia del nuovo farmaco, bensì dare una prima valutazione sulla sua sicurezza e, contemporaneamente, studiarne la farmacocinetica, cioè capire che cosa accade al farmaco una volta entrato nel corpo umano (come viene assorbito, in che modo è metabolizzato, per quali vie viene eliminato). Gli studi di fase 1 possono anche servire a mettere in evidenza eventuali effetti indesiderati della sostanza in funzione del dosaggio. Infatti, il farmaco viene somministrato in quantità crescenti, fino a stabilire il dosaggio massimo tollerabile dall’organismo. Questi studi vengono condotti senza compromettere la sicurezza dei volontari sani che firmano il loro consenso dopo essere stati adeguatamente informati sulla finalità della sperimentazione. Gli esperimenti sono effettuati in centri specializzati e sotto stretta sorveglianza medica. Per passare alle fasi successive il farmaco deve dimostrare di non essere tossico, o quantomeno di avere una tossicità accettabile in relazione all’uso previsto (rapporto rischio/beneficio). Gli studi sulla teratogenicità – quelli che servono per capire se una molecola è dannosa per i nascituri – sono eseguiti sui modelli animali nelle prime fasi di sperimentazione preclinica. Purtroppo, però, richiedono diversi anni prima di poter fornire risultati certi; e quando si inizia la sperimentazione clinica di solito non sono ancora disponibili. Per non correre rischi, si preferisce quindi studiare il potenziale farmaco solo su soggetti maschi. Prima di iniziare qualsiasi sperimentazione clinica è indispensabile acquisire il parere di un comitato etico indipendente.
Negli studi di fase 1 quindi solo volontari, sani e maschi. I soggetti sottoposti a questa fase dello studio devono essere in buona salute, perché un eventuale effetto collaterale non venga confuso con il sintomo di una malattia.
Perché volontari sani? E perché solo maschi? Come abbiamo visto in precedenza, in questa fase non viene valutata l’efficacia del principio attivo sull’uomo, ma soltanto la sua tollerabilità e gli eventuali effetti collaterali. Per questo non è necessario sperimentarlo sui malati. Devono invece essere necessariamente maschi perché in questo stadio della ricerca non è ancora stata esclusa la possibilità che la molecola possa avere effetti collaterali teratogeni, cioè in grado di compromettere la salute dei feti, provocando magari malformazioni o aborti spontanei. Quindi, in mancanza di certezze, le donne vengono escluse dalla sperimentazione: potrebbero essere, infatti, in gravidanza, magari agli inizi, e non saperlo ancora.
I volontari riceveranno per alcune settimane una certa dose della sostanza studiata e saranno costantemente monitorati. I test vengono eseguiti strettamente in ambito ospedaliero, o in strutture a esso equiparabili, dove i volontari possono essere tenuti sotto osservazione medica continua. In questa fase sorgono i primi problemi etici: per partecipare a uno studio clinico, infatti, i volontari devono firmare un “consenso informato”, un foglio su cui è scritto tutto quello che si sa sul farmaco oggetto di studio, sui rischi a cui vanno incontro e sui possibili effetti collaterali. Tuttavia, le informazioni che i ricercatori possono fornire a questo punto della ricerca sono ancora poche. Inoltre, gli individui sono sani, e ciò contraddirebbe il principio etico secondo cui bisogna “evitare trattamenti inutili o dannosi”. A questi dubbi etici deve rispondere la normativa in materia, con l’aiuto dei comitati etici di cui le istituzioni di ricerca si dotano.